Vidi la invan da te cercata prole.
Non è tranquilla inver, triste tuttora
È Proserpina tua, s’ange e si duole;
Ma regina però del mondo muto,
Ma possente matrona e cara a Pluto.
- La madre, in udir ciò, come uno scoglio
Rimase lì con le pupille immote.
Ma poi che lo stupor cesse al cordoglio,
All’eterea magion volse le rote.
Quivi a sciolti capelli innanzi al soglio
Di Giove stiè col pianto in sulle gote;
E - A te, disse, o Signor del più bel regno,
Pel mio, pel sangue tuo, supplice io vegno.
Di tua figlia mercè, s’io nulla merto;
Né la tenere a vil, perch’ella è mia.
Io la rinvenni alfin, se un perder certo
Ritrovar chiami, o saper dove sia.
Purché la renda il rapitor, sofferto Per me l’oltraggio e la rapina fia;
Ché d’un corsar, che le fanciulle artiglia,
Se n’è la mia, non n’è degna tua figlia. -
- Pegno e peso comun - Giove rispose -
È Proserpina al mio come al tuo cuore:
Ma se giusti dar vuoi nomi alle cose,
Quello oltraggio non fu, fu vero amore.
Se a ciò t’acconci che il destin dispose,
Non fia genero averlo onta e rossore:
Pognam ch’altro gli manchi, e te non muove
Solo il saper ch’egli è fratel di Giove ?
Senza che, adorno è ben d’ogni altro pregio,
Onde superba andar può del consorte:
È possente Plutone, ha nome regio,
Né cede in nulla a me, se non di sorte.
Ma se franto vuoi ‘l nodo, ella al collegio
Rieda de’ numi e alla superna corte;
A tal legge però, ch’ivi gustato
Cibo non abbia: è ciò scritto nel fato.
- Disse; e Cerere in cor si riconsiglia
Trar Proserpina sua da’ regni morti.
Ma lo vieta il destin: mentre la figlia
Semplicetta d’Eliso erra per gli orti,
Avea colto per gioco una vermiglia
Melagrana da’ rami al suolo sporti;
E sol con sette grani, ad uno ad uno
Spremuti in bocca, avea rotto il digiuno.
Ovidio, Metamorfosi, V, 346-571
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